Data pubblicazione

Dal 30 maggio al 2 giugno ’17 si è tenuta la seconda missione in Etiopia di Caritas Italiana e Comunità di Sant’Egidio, insieme alla fondazione Ghandi, per l’apertura di un canale umanitario verso il nostro paese. Hanno scandito le giornate riunioni istituzionali e visite ai campi da dove si intende reinsediare i 500 profughi previsti nel  protocollo d’intesa firmato con il governo italiano.
TIGRAY – Nella regione del Tigray, zona di Shire, al confine con l’Eritrea sono oltre 36 mila i profughi ospitati in 4 campi. dopo aver visitato durante la prima missione Mai-Aini e Adi-Arush, la delegazione è stata al campo di Shimelba, quello più a nord a ridosso del confine eritreo. Baracche di legno, fango e lamiera, isolamento dovuto alla grande distanza dai centri abitati, possibilità di uscire dai campi solamente con permesso, forte spinta all’emigrazione (dai dati Unhcr l’87% dei profughi nei campi del Tigray dichiara di voler spostarsi, anche se dovessero appoggiarsi a trafficanti).

C’è stato un incontro con un gruppo di profughi con alle spalle un vissuto terribile fatto di abusi perpetrati dai beduini nella regione del Sinai dove sono stati prigionieri per mesi. Sono uomini e donne che nel tentatvo di emigrazione sulla rotta Sudan-Libia-Italia o Sudan-Egitto-Israele son state rapite e torturate (violenze sessuali ripetute, scosse elettriche, percosse allo sfinimento). Le storie raccontate non possono lasciare indifferenti e probabilmente un primo gruppo di beneficiari verrà selezionato da questo gruppo.

GAMBELLA – Nella regione di Gambella (zona sud occidentale dell’Etiopia) vi sono al momento oltre 330 mila sud sudanesi in fuga dal loro paese per ragioni del conflitto e della terribile carestia che colpisce lo stato di Unity. La delegazione ha visitato i campi di Jewi, Kule I e II, Tierkidi e Nguenyiel. Il contesto ambientale è profondamente diverso da quello del nord in quanto i campi si trovano immersi nella foresta e i numeri stanno aumentando in maniera esponenziale (oltre 80.000 persone da settembre 2016). I sud sudanesi ospitati sono per lo più pastori semi nomadi che a causa della siccità e del conflitto in corso, si rifugiano oltre confine per vivere in immensi campi che replicano i villaggi che hanno lasciato in Sud Sudan. Nei fatti abbiamo visto una situazione di grave emergenza umanitaria (condizioni sanitarie estreme, carenza di strutture, presenza endemica della malaria, e anche reclutamento di minori da parte delle milizie all’interno dei campi) affrontata affrontata dalle organizzazioni internazionali con estrema difficoltà e in attesa che il conflitto in Sud Sudan termini, cosicché le popolazioni possano rientrare.

Una rappresentanza di profughi Sud Sudanesi, per lo più di etnia Nuer ma anche con presenze Dinka, ha confermato quanto avevamo già appreso dalle Ong presenti ovvero che la maggior parte non ha intenzione di muoversi verso in Europa, mentre chiedono aiuti materiali che possano permettergli di vivere nei campi dove il rischio di malnutrizione è molto alto, soprattutto per i bambini.